Felice (di nome e di fatto) a Bergamo

Il braccio alzato al cielo e una gioia limpida, cristallina. Felice Gimondi vince la tappa del Giro d'Italia con arrivo nella sua Bergamo, davanti all'eterno rivale, il "cannibale", Eddie Merckx. E' l'11 giugno del 1976: il giorno successivo, nella cronometro di Arcore, Gimondi riesce a scalzare Johan De Muynck dalla vetta della classifica e a conquistare il suo terzo e ultimo giro d'Italia.

E' un campione sereno quello che indossa la maglia rosa a Milano, consapevole di essere all'apice di una carriera indimenticabile, nonostante la sfortuna di essere nato sotto lo stesso cielo di Merckx e di aver raccolto probabilmente meno di quanto avrebbe meritato. Ma è una messe ampia, abbondante, la sua, e in quel volto felice - di nome e di fatto - che taglia il traguardo di Bergamo c'è tutta la soddisfazione di chi ha dato e ricevuto tanto, nello sport e anche nella vita.

Allora non ne eravamo consapevoli, ma quelli erano gli ultimi anni in cui il ciclismo coincideva con la leggenda. Creatura di un mondo che stava scomparendo, prima di perdere la purezza avrebbe smarrito nel volgere di una dozzina d'anni l'ingrediente che lo aveva reso tanto popolare e seguito: la poesia. Non è un caso che i grandi scrittori del dopo guerra si siano cimentati nel narrare le gesta di campioni tagliati su misura per quell'Italia desiderosa di rinascita, che puntava tutto sulle proprie forze, proprio come andare in bicicletta.

La fotografia che abbiamo scelto oggi ci pare semplicemente perfetta, con le maglie dei nostri eroi di allora, le biciclette che non erano ancora mostri di tecnologia, il berrettino all'indietro e i volti genuini, di chi conosceva il sacrificio e nel medesimo tempo la soddisfazione che dona in cambio la fatica.

I colori e i nomi erano quelli che d'estate ritrovavamo nelle biglie, sulle spiagge: Zandegù, De Vlaeminck, Baronchelli, (altro bergamasco, che si intravede in questa foto, terzo all'arrivo, con la maglia bianconera della Scic), Moser (nell'immagine caricata su Storylab da Sergio Meli si vede anche lui, il primo, da sinistra) Boifava... Il Giro lo si ascoltava alla radio, con la voce di Bruno Raschi, e per gli ultimi chilometri faceva fede la tv, con Adriano De Zan per la telecronaca.

Gimondi tra gli anni Sessanta e Settanta era il campione di tutta l'Italia, poiché il destino avido nel trovargli un avversario tanto forte quanto Merckx lo aveva ricompensato non facendogli ombra in Italia, nazione che delle diarchie ciclistiche (Coppi e Bartali, Baldini e Nencini, poi Moser e Saronni) è sempre stata la patria. Un affetto che nei ricordi di chi c'era dura tuttora.

P.S. Felice Gimondi vinse la tappa di Bergamo e il giorno dopo conquistò la maglia rosa definitiva ma il Giro d'Italia lo vinse due giorni prima, il 9 giugno, quando nella tappa che portava da Longarone alle Torri del Vajolet, sulle strade sterrate e ripide quanto una parete cedette soltanto pochi secondi a chi lo precedeva. Gimondi quel giorno era rimasto solo, senza gregari, pare non farcela più, ai bordi della strada affollata lo incoraggiano ma il volto tirato non fa presagire nulla di buono. Invece nell'ultimo tratto innesca la marcia avanti e con un moto d'orgoglio recupera secondi preziosi e getta le fondamenta per l'ultima impresa. Sul Vajolet Gimondi errivò stremato, ma sorrideva. Quello stesso sorriso che diventerà dirompente a Bergamo, a casa sua, e che vediamo così limpido, in questa fotografia.

Giorgio
Giorgio Bardaglio Giornalista

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